Oggi le mie opere nascono di pari passo con il mio desiderio di usare le mie stesse ferite per cercare di aiutare gli altri attraverso l’arte e la bellezza.
Essere approdato al giuoco, per me, è metafora di un’azione catartica collettiva votata alla ricerca del Sé per evolvere la coscienza ed esplorare nuove sensibilità legate alle Sfere Superiori.
Nel movimento verso questa ricerca, la mia arte nel tempo si è evoluta, è cresciuta fino a diventare “arte sociale” nel senso che intendeva il grande artista tedesco Joseph Beuys: un’arte opposta all’individualismo autoreferenziale; aperta invece al pubblico, al gruppo, alla realizzazione condivisa dell’opera, la cui resa finale è possibile grazie al contributo di molti che lavorano ad un risultato che non si sa in anticipo quale sarà, dunque proprio per questo inaspettato, poetico e sorprendente.
Le mani, simbolo di operosità e trasformazione nelle mie opere, rivestono un ruolo centrale e simbolico. Sono strumenti del “fare”, del plasmare la materia, ma anche veicoli attraverso i quali l’energia creativa si concretizza in forma tangibile. Ogni gesto, ogni movimento delle mani rappresenta un atto di creazione, un ponte tra l’intuizione interiore e la realtà esterna.
Le mani non solo costruiscono, ma anche trasmettono emozioni, sensazioni e intenzioni. In questo processo, esse diventano il punto di contatto tra il mio mondo interiore e l’universo collettivo, trasformando l’azione in un atto di condivisione e partecipazione in grado di tessere connessioni tra individui e comunità.
Il “fare” diventa così un atto sacro, in cui la materia si anima e si trasfigura, rispecchiando l’incessante ricerca del Sé e l’evoluzione spirituale che accompagna ogni mia creazione.
Le mani sono quindi l’emblema di un’arte che si fa strumento di cambiamento, non solo personale ma anche collettivo.